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SANITA'
07 Dicembre 2020 - 22:05
di EVA MONTI
Il dottor Mario Moselli, volto noto e stimato, sta sconfiggendo il Coronavirus tra le mura di casa sua, ma vuole ugualmente ringraziare coloro che per poche ore lo hanno accolto e curato al pronto soccorso dell’ospedale di Rivoli. Moselli, classe 1932, dottore ortopedico, fu vice primario per 17 anni a Giaveno e poi primario emerito del reparto di ortopedia-traumatologia dell’ospedale Maria Vittoria di Torino. Nato a Torino, si è però trasferito in cintura da anni, ed abita in una bella casa di via Viotti, proprio sotto il Castello.
«Oggi che la virosi sembra prossima a lasciarmi, è tempo di ricordi e di riflessioni», afferma, precisando che essa si era insinuata in modo subdolo nella sua vita. Lui stesso medico, non aveva percepito, ammette, «che la recidiva del Covid si stava facendo minacciosa per la prognosi». Se l’ha scampata, riconoscendo al fine che quei sintomi emersi in modo non continuativo, è stato per merito della figlia Nora, medico all’ospedale di Candiolo. «Fu sua la decisione di avviarmi al nostro ospedale - racconta il padre - ha preso una di quelle decisioni che il medico curante, bravo e sperimentato, assume travalicando l’insistito travaglio clinico. In poche parole sente “il fumus” del dramma che attende dietro l’angolo».
Lei stessa ribadisce che la diagnosi precoce è stata la salvezza del padre. Al contrario a lui, vecchio medico, la prospettiva del ricovero non sorrideva per niente. Infine Nora tanto ha fatto e tanto ha detto che lo ha convinto. E quel che ha seguito poi a quella forzatura benevola lo racconta lui stesso al nostro giornale, affidando i ricordi di quei giorni a queste pagine, certo che la condivisione con un largo pubblico di lettori sia di vantaggio a chi potrebbe non comprendere appieno i primi sintomi di questa insidiosa malattia, e di riconoscimento della stima a chi, una volta giunto lui in ospedale, lo ha assistito.
«Mi riferisco all’equipe del Pronto soccorso diretto dalla dottoressa Monica Valobra di cui già conoscevo la calma e ferma maestria nel condurre il reparto, ben inserito in ospedale di grande affidabilità». Tra i tanti che gli hanno dato assistenza ricorda la premura della tecnica di radiologia Donata Frassetto, ma non solo: «Vedevo attorno a me tutte quelle figure umane sconciate dalla tuta che le gravava, affaticava, sporcava, e che si adoperavano con impegno».
Moselli è malato, quindi riveste il ruolo del paziente, ma è stato troppi anni medico, anzi primario responsabile di altri medici, per non notare, seppure nel suo affanno e dentro al suo dramma personale, cosa accade in torno a lui. «Ho visto una non attesa disponibilità di materiale che traspariva, le uniformi, la biancheria, le barelle accoglienti, piccole cose come l’accesso a nuove maschere, ai farmaci, come è stato possibile - prosegue - i bilanci li immagino così risicati e questo è un debito verso le arti prestidigitatorie di stampo savoiardo che riconosco alla dottoressa».
Si aspettava una “bolgia” che l’emergenza straordinaria fa vivere, e invece resta stupito di quel che trova. «L’ambiente pulito, ordinato, luminoso non poteva non sorprendermi e rincuorami e, appunto muovermi a un riconoscimento caloroso - tiene a precisare - Ho avuto gentilezza. È così importante per il malato sentire una attenzione umana. Ho sentito forte l’impronta dell’educazione».
Mario Moselli è stato in ospedale poche ore, perché ha poi deciso in accordo coi colleghi medici del pronto soccorso, che avrebbe continuato le cura a casa dove fortunatamente la figlia medico poteva seguirlo somministrando eparina per evitare la formazione di micro trombosi ed emboli che, si sa ormai, si associano alla malattia. Ed ossigeno, per le crisi respiratorie. Tornava a casa dalla famiglia, rispettando ovviamente la dovuta separazione per quarantena dalla famiglia.
Marito e padre amoroso di due figlie, nonno di ben cinque nipotini, ha le sue passioni: leggere e scrivere. Non vuole pesare sul sistema sanitario nazionale più del dovuto e sa, ha capito, che con farmaci adeguati e la bombola di ossigeno ce la può fare senza intasare il reparto Covid dell’ospedale cittadino. Un contributo di fatto a quel prezioso sistema sanitario domiciliare del territorio che andrebbe potenziato. Ritiene indegno che non lo si sostenga in modo più adeguato, perché è la vera risorsa della moderna medicina e modo per non pesare troppo sul sistema ospedaliero. «Come ho sempre intuito - conclude - fin dall’inizio della mia lunga carriera di medico ospedaliero».
su Luna Nuova di martedì 8 dicembre 2020
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