EMERGENZA
31 Marzo 2020 - 01:05
Vidina Bruno al lavoro nel caseificio dell’azienda di famiglia, nella borgata Cornale di Venaus
Immuni al virus. Volenti o nolenti. In un mondo barricato tra le mura domestiche, con paesi, città e strade sinistramente deserte, c’è una fetta di popolazione che ha il “privilegio” di poter girare indisturbata, di circolare, pur in uno scenario surreale. È quella che sta alla base della catena alimentare, da con confondere con il plancton, ovvero colei che produce i beni di prima necessità per antonomasia, gli agricoltori. Un diritto-dovere il loro: quello di continuare a lavorare, produrre e mettere in circolo quello che poi, direttamente o trasformato, arriva sulle nostre tavole segregate tutti i giorni, consentendoci di sopravvivere e, mal che vada, aggiungere un paio di chili e centimetri al nostro girovita e, in un raptus di genialità piuttosto diffuso già anche prima, postare le nostre preparazioni culinarie sui social.
Giancarlo Bruno è uno di loro. La scelta della terra è quella condivisa con tutta la famiglia, come lo era stata quella dei suoi genitori. Ha optato per vivere, dopo il matrimonio, a Novalesa, ma la cascina è quella storica della borgata Cornale di Venaus, all’imbocco della val Cenischia, dove la strada provinciale plana sul paese dopo il bivio dei passeggeri. Zona calda della lotta al Tav nell’autunno-inverno del 2005-2006, la cascina della Curnà negli anni si è sviluppata, con una nuova stalla e un laboratorio per la lavorazione del latte, dall’altra parte della provinciale, dove i raggi del sole anche in inverno arrivano prima che non “sotto la montagna”. Ci lavorano a tempo pieno lo stesso Giancarlo, il figlio 21enne Diego, la sorella Vidina, il fratello Claudio e sua moglie Federica Barella. Una task force di allevatori, un mix di esperienza ed entusiasmo giovanile, che si prendono cura, tutti i giorni che Dio manda sulla terra, di circa 120 vacche. Un mix di razze quello nella capiente stalla della Curnà, che poi a giugno si trasferisce in alpeggio sulle pendici del Rocciamelone, a Prà Riondetto, un piccolo paradiso risparmiato dal terribile incendio dell’autunno 2017 anche grazie al fatto che pur essendo al margine superiore della pineta del Pampalù i pascoli lindi intorno alla struttura hanno formato una solida ed impenetrabile barriera tagliafuoco. Si trovano pezzata rossa, grigio-alpina, ma anche piemontese e incroci vari.
Il loro latte, per la maggior parte, viene trasformato in prodotti caseari, dal prodotto fresco, di consumo immediato, a quello destinato alla stagionatura, come la toma dei lait brusch, che è uno dei marchi di fabbrica della fattoria. Da tempo l’azienda ha abbandonato la vendita al dettaglio del latte, espiantando anche la casetta di distribuzione self-service. «Non era più conveniente, lavoravamo in perdita», ammette Giancarlo. Anche nell’emergenza l’azienda Bruno lavora a pieno ritmo, in primo luogo perchè gli animali non si possono certo abbandonare e poi perchè una delle leggi che sottende il lavorare in campagna è “seminare per raccogliere”. «Certo, se dovessimo soltanto guardare ai ricavi, non dico ai guadagni, di questo periodo, dovremmo chiudere subito e metterci in quarantena anche noi, anche se penso che non resisterei un solo giorno barricato in casa - si sfoga Giancarlo Bruno - ma in primo luogo non ce lo possiamo permettere, perchè gli animali vanno curati ogni giorno e siamo abituati a farlo anche di domenica e durante le feste, e poi continuiamo la produzione dando priorità alle tome che necessitano di una stagionatura, così saremo pronti quando tutto questo, si spera, sarà finito».
Oltre che in azienda, non più raggiungibile dai più, i Bruno avevano come maggior canale di vendita quello dei mercati, i due più importanti della valle, quello del lunedì a Bussoleno e quello del martedì a Susa, oltre a quello di casa del venerdì a Venaus. «È un paio di settimane che i primi due non li facciamo più - dice sconsolato - il gioco non vale la candela e secondo me corriamo inutilmente dei rischi, facendogli correre anche agli altri; abbiamo mantenuto la presenza a Venaus, ma qui siamo a due passi da casa ed è il nostro paese». «Per il resto è diverso - aggiunge - viviamo tutti insieme, e durante il nostro lavoro, che per fortuna in gran parte si svolge all’aria aperta, non abbiamo contatti praticamente con nessuno». Sì, possono circolare per il proprio lavoro, ma non sono diventati magicamente immuni.
Claudio Rovere
su Luna Nuova di martedì 31 marzo 2020
APPROFONDIMENTI
Inserisci un commento
Condividi le tue opinioni su Luna Nuova