EMERGENZA

S.Antonino, l’Alpino Michele ha battuto il virus: «Ma la paura resta»

«In ospedale ho trovato medici squisiti, ma a casa mi sono sentito abbandonato»

07 Aprile 2020 - 00:08

S.Antonino, l’Alpino Michele ha battuto il virus: «Ma la paura resta»

di MARCO GIAVELLI

Oggi alle 15 Michele Franco, al volante della sua Fiat Punto, sarà a Susa per un nuovo “Pit Stop”. Un tampone “Pit Stop”, davanti all’ospedale, per certificare l’avvenuta guarigione dal Covid-19. Ieri mattina è arrivata la notizia tanto attesa della negatività al primo tampone effettuato giovedì 2 aprile. Ora si tratta di chiudere ufficialmente il cerchio e di lasciarsi finalmente alle spalle questa brutta esperienza. Michele Franco, 74 anni a giugno, originario di Cinquefrondi, in provincia di Reggio Calabria, ma dal 1961 stabilmente in Piemonte, è un Alpino e dal 2005 è il capogruppo Ana di Sant’Antonino, oltre che consigliere della sezione Ana Valsusa. Scorza dura e tempra combattiva, da buon artigliere da montagna non si è lasciato intimorire dalla battaglia contro il Coronavirus, ma certo ne avrebbe fatto volentieri a meno.

Tutto è iniziato un mese fa, martedì 10 marzo: «Ho fatto ancora in tempo ad andare ai funerali di Elso Tournour e di Anna Maria Burdino, così come ad andare a trovare mio fratello Salvatore alle Molinette di Torino, poi mi è venuta la febbre, sempre tra i 37 e 37.5, ma senza tosse - racconta Michele - domenica 15 la febbre è salita a 38 e martedì 17 ho iniziato a sentirmi strano, non in forma: facevo fatica a respirare, nonostante la febbre fosse comunque scesa un po’. Il mio medico di base mi ha diagnosticato un focolaio di polmonite sulla parte destra e mi ha prescritto una radiografia. È stata una lunga avventura: alle 13,30 mia nuora mi ha portato in ospedale a Susa, poi verso le 19 mi hanno chiamato per fare il tampone. Dopo la notte trascorsa al pronto soccorso, al mattino medici e infermieri, tutti imbardati, mi hanno portato nel reparto Covid dicendomi che il tampone era positivo».

Fortunatamente il virus lo ha contagiato in forma abbastanza lieve, ma anche Franco ha dovuto ricorrere all’ossigeno e alle terapie necessarie per debellarlo. La febbre pian piano è scesa, la tosse è sempre rimasta ai livelli di guardia fino a quando, lunedì 23, i medici gli hanno comunicato che, in assenza di controindicazioni, sarebbe stato dimesso per terminare la terapia in isolamento domiciliare. «Alle 17 l’infermiera entra e mi dice: “Ma non è ancora pronto? Sotto c’è l’ambulanza che lo aspetta”. Sono arrivato a casa alle 18 con tutti i miei famigliari sui balconi che mi aspettavano felici. Io, però, ero molto preoccupato soprattutto per mia moglie, per mia nuora, che mi aveva accompagnato in ospedale, e per tutti i miei famigliari: avevo paura che fossero rimasti infettati».

E qui inizia la seconda parte del racconto, con tutti i nei di una quarantena in cui Michele non nega di essersi sentito lasciato a se stesso: «La terapia che mi era stata prescritta in ospedale terminava il 25 marzo, ma da lì in avanti nessuno dall’Asl mi ha più cercato, nonostante io abbia fatto decine di telefonate per capire come gestire la mia situazione: sono stato rimpallato da un numero all’altro, senza ottenere risposte. Ovviamente ho fatto riferimento al mio medico di base che mi tranquillizzava, dicendomi di chiamare il 118 soltanto se mi fosse venuta la febbre alta, ma dicendomi anche che non poteva visitarmi perché non aveva l’attrezzatura adeguata. In ospedale tutti i medici e gli infermieri sono stati magnifici, persone gentilissime e squisite da cui mi sono sentito ben assistito dall’inizio alla fine. Invece, una volta a casa, mi sono sentito abbandonato: io purtroppo ho alcune patologie pregresse che necessitano di cure e quindi avevo bisogno di capire come procedere».

Non solo. Michele continua anche a chiedersi (e a non capire) come mai non sia stato fatto il tampone a sua moglie e ai suoi famigliari: «Lo abbiamo chiesto espressamente, ma ci è stato detto che, non presentando sintomi, non glielo avrebbero fatto. Con mia moglie ovviamente ci dormivo insieme, da quando sono tornato non più: per fortuna abbiamo una casa grande abbastanza per consentirci di restare a debita distanza l’uno dall’altro, di mangiare e dormire in stanze diverse, di usare bagni diversi. Stesso discorso per le mascherine: due sono riuscito ad averle tramite amici Alpini, un’altra grazie all’assessore Antonio Ferrentino, un’altra ero riuscito a comprarla in farmacia, ma diversamente non se ne trovano. Una volta certificata la mia guarigione, io e mia moglie vorremmo solamente avere la certezza di poter ritornare ad una vita normale, ma ad oggi non ce la sentiamo ancora».

su Luna Nuova di martedì 7 aprile 2020

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