CORONAVIRUS
07 Aprile 2020 - 00:08
di CLAUDIO ROVERE
In queste notti buie e silenziose c’è una piccola luce, lassù verso il Villano e la Rocca Nera, al Pian del Roc, che ci ricorda come la montagna sia presidiata anche in questo periodo. Un po’ fa malinconia, ma anche compagnia. Marco Ghibaudo, giovane cuneese di Borgo S.Dalmazzo, montanaro e istrione, cuoco d’alta quota e fucina di idee che hanno rivoluzionato questo lembo di montagna bussolenese, ha deciso di trascorrere qui la sua quarantena prolungata originata dal Coronavirus.
Certo si sarebbe aspettato ben altro risvolto della sua sesta stagione come gestore del rifugio Toesca. Come da alcuni anni a questa parte Ghibaudo aveva sperimentato anche l’apertura invernale, poi dopo le festività aveva deciso di staccare un attimo la spina. Era tornato al Pian del Roc, ad un’ora e un quarto da dove si lascia l’auto, proprio nel primo vero weekend di marzo, quello di sabato 7 e di domenica 8. Non c’era la neve record di qualche inverno passato, la gente era arrivata.
Poi il virus aveva iniziato a dettare l’agenda di governo e il lunedì successivo era uscito il decreto che in pratica, con la sue successive modifiche, sbarrava l’accesso anche alla montagna. Senza più clienti, senza più ospiti. Il Toesca era rimasto soltanto quella fioca luce sulla montagna nelle notti più limpide, quando in basso l’oscurità era solcata dalle sempre meno frettolose linee delle auto.
Occorreva una scelta. La scelta, obbligata conoscendo il suo attaccamento ai luoghi, è stata quella di rimanere. Nonostante tutto. Come un tenente Drogo, come un tenente Dumbar qualsiasi. Forse più il secondo, per quel suo desiderio di conoscere, scoprire, sperimentare. Qui non ci sono tribù Lakota da conoscere, forse qualche “Due calzini” nelle lunghe notti di marzo esplora i dintorni del rifugio, ma la costante è la solitudine. Rotta soltanto dal gracchiare dei corvi e da qualche leggera scarica di fiocchi negli ultimi giorni del mese, con il paesaggio reso nordico pure da un’improvvisa galaverna.
«Ho affittato due stanzette a Mattie, ai Giordani, che fungono da base, ma mi sono detto che forse la quarantena era meglio viverla quassù - ammette - un po’ per me, per svegliarmi al mattino ed essere attorniato dalla bellezza di questi luoghi, e un po’ per il rifugio e questi luoghi stessi, che è meglio presidiare, altrimenti la montagna sarebbe deserta in questo periodo; devo dire che il pensiero di scappare in alto lontano dalla malattia mi è frullato in testa soltanto in un secondo momento, quando ormai la decisione era presa».
Marco “Dumbar” Ghibaudo così da un mese è l’unico presidio umano di questo versante del parco Orseria, imitato dall’altra parte dello spartiacque dai gestori del Selleries. «Nella prima settimana ho anche fatto qualche escursione con gli sci verso il Sabbione e Rocca Nera per impegnare il tempo - spiega - poi però ho smesso, perchè sono solo e non voglio rischiare, di soccorsi ce n’è bisogno a valle; adesso mi occupo della manutenzione della struttura, che ne ha sempre bisogno, e questa è l’occasione per farlo, faccio legna, così ho la scorta già per il prossimo inverno». E nelle giornate brutte si chiude in rifugio e accompagnato soltanto dal crepitio del putagè divora parole scritte. Libri di montagna certo, ma anche gli appunti del corso sulle valanghe a cui ha recentemente partecipato e pubblicazioni sul tema. «Ogni giorno monitoro lo strato di neve e mando i dati all’Arpa». E poi volumi sull’utilizzo dei droni e sull’educazione cinofila. Già, perchè in realtà un compagno di vita ce l’ha. Si chiama “Muflone”, è un cane trovatello di 10 anni che zompetta accanto a lui anche nelle escursioni invernali. «L’avevo trovato abbandonato in montagna e l’ho adottato, o forse ci siamo adottati a vicenda, il peso dell’età un po’ inizia a farsi sentire, ma è un duro e non molla».
Ma il peso della solitudine, in questo Fort Sedgwick perso nella frontiera, non è troppo difficile da affrontare, soprattutto adesso che questo isolamento globale si prospetta più lungo del previsto? «Beh, un po’ di solitudine si avverte, ma cerco di non pensarci troppo; la scelta di fare il rifugista comporta anche questo e non è che in tutte le giornate d’inverno ci sia stata la ressa qui, un po’ ci ho fatto l’abitudine già da prima». Si però abbiamo visto dei tuoi filmati sui social in cui mostri ai tuoi followers l’aperitivo e il pranzo consumati con il tuo amico immaginario rappresentato da un paio di sci. Non è che stai cedendo? «Beh, mi piace giocare e scherzare, una parte importante dei social è distrazione e la sfrutto per tenermi su di morale, tranquilli non sto sclerando».
Il rischio di cedere è però in agguato appena si mette un piede fuori da questa bolla in cui tutto è ovattato, «con un silenzio che sembra di essere su un 8mila», ammette Ghibaudo. «Sì, è vero. Sono sceso a fare rifornimento a Bussoleno per la prima volta il 30 marzo ed è stato impressionante, non ero abituato a vedere questo deserto per le strade; sono tornato su il più in fretta possibile». Ma il prolungamento della quarantena potrebbe portare con sè, come per tutto il settore turistico e dell’accoglienza, anche più drammatici risvolti economici. «Beh, non ci voglio pensare, mi ero fatto due calcoli e contavo di riaprire il 30 maggio, ma non so se sarà fattibile». E forse quella nostalgia per quella luce nel buio sulla montagna, come quella più prosaica per il gelato al genepy del Toesca, ci pervaderà ancora per un bel pezzo.
Su Luna Nuova di martedì 7 aprile 2020
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