CORONAVIRUS

Chiusa S.Michele: il "paziente uno" della valle di Susa ora incrocia le dita

Eugenio Gallo sulla strada della guarigione: attende l’esito del sesto tampone

21 Aprile 2020 - 00:23

Chiusa S.Michele: il "paziente uno" della valle di Susa ora incrocia le dita

Eugenio Gallo con la mamma Rosaria Cosco

di MARCO GIAVELLI

Eugenio Gallo è barricato in casa ormai dal 4 marzo. Un mese e mezzo senza nemmeno poter portare a spasso il suo cagnolino Haron, fare la spesa o gettare la spazzatura. Un mese e mezzo in cui il suo unico “mondo di fuori” è stato il balcone, se escludiamo quella capatina all’ospedale di Rivoli dove il tampone ha detto che il malessere che covava da giorni era proprio Coronavirus. Eugenio è il “paziente uno” della valle di Susa, il primo ad aver contratto il virus sul nostro territorio, due settimane dopo l’arrivo dell’epidemia a Codogno: era sabato 7 marzo quando l’ambulanza lo ha trasportato d’urgenza a Rivoli. In ospedale ci è rimasto soltanto un giorno, prima di un interminabile isolamento domiciliare. Ormai si sente bene, ma non può ancora dirsi clinicamente guarito: potrebbe esserlo da oggi se l’esito del sesto tampone (sì, il sesto) sarà negativo come il quinto. «Speriamo davvero perché mi manca la mia libertà. Non chiedo di fare chissà che cosa: mi basterebbe uscire quei 200 metri intorno a casa per fare due passi con Haron».

Operaio metalmeccanico alla Migliore di Santena, era ormai da una decina di giorni, dal 26-27 febbraio, che Eugenio accusava un malessere diffuso, tanto da essersi già messo in mutua dal lavoro: «Febbre, tosse secca e un gran mal di testa, ma pensavo ad una normale influenza - racconta - con la Tachipirina inizialmente andava un po’ meglio, poi però ho ripreso a stare malissimo: inoltre non sentivo più il gusto non tanto dei cibi, ma di bevande come the e caffè. A un certo un punto non mi reggevo più in piedi e respiravo molto male: il mio medico di base mi ha visitato, diagnosticandomi un piccolo focolaio di polmonite da un solo lato, e mia sorella ha chiamato l’ambulanza». All’ospedale di Rivoli prima la radiografia al torace, poi il tampone hanno inchiodato Eugenio di fronte al Covid-19: «I medici mi hanno detto che l’aver già fatto una cura sostenuta di Tachipirina e Augmentin ha rallentato l’azione del virus. Fortunatamente non ho dovuto ricorrere alla terapia intensiva, ma solo all’ossigeno mezza giornata tra sabato 7 e domenica 8 in ospedale: medici e infermieri sono stati bravissimi, seguendomi ogni momento. Il fatto di essere stato tra i primi nella nostra zona a contrarre il Coronavirus mi ha certamente agevolato. Poi, visto che la mia situazione non era grave, sono stato dimesso già alla domenica sera».

Alla sua odissea si è però intrecciata quella della mamma, Rosaria Cosco, già affetta da altre patologie e ricoverata a Rivoli il 10 marzo, due giorni dopo il ritorno a casa di Eugenio: negativa al primo tampone, mercoledì 18 è poi risultata positiva, rimanendo in ospedale fino a domenica 29. «Ora anche lei sta meglio, ha riacquistato l’appetito ed è in attesa dei tamponi per verificare la guarigione. Da quando è tornata a casa, oltre a dormire in stanze diverse, mangiamo anche in momenti diversi e disinfettiamo sempre tutto». Un grosso aiuto è arrivato loro dalla sorella di Eugenio, una volta conclusi i 15 giorni di isolamento fiduciario a cui è stata sottoposta per essere stata a contatto con lui: «Ma voglio ringraziare pubblicamente anche il Comune e il sindaco Fabrizio Borgesa, che mi ha telefonato più volte per sincerarsi delle mie condizioni, e i volontari della protezione civile, che mi portavano la spesa a casa: appena potrò finalmente uscire andrò a ringraziarli di persona per il loro supporto».

Ha idea di dove possa essere stato contagiato? «Non saprei proprio, in quei giorni facevo per lo più casa-lavoro: in fabbrica non credo, forse al supermercato o magari andando a ballare latino-americano». E com’è stato vivere questo lunghissimo periodo isolamento a casa? «Sicuramente pesante. I primi giorni dall’Asl mi telefonavano per seguire l’evolversi del mio caso, poi non ho più sentito nessuno: capisco la situazione d’emergenza generale, ma non è stato piacevole. Una volta terminata la cura con i medicinali, sono stato poi contattato per fare i tamponi: è successo addirittura che mi chiamassero per rifarlo, senza che mi avessero nemmeno comunicato l’esito di quello precedente». Già, perché pur sentendosi ormai bene, per Eugenio l’uscita dal tunnel si sta rivelando un calvario, contando che servono due tamponi negativi consecutivi per essere dichiarati guariti: positivi i primi due, poi finalmente negativo, la doccia fredda di un nuovo positivo e infine negativo. Giovedì scorso ha fatto un nuovo “pit-stop” all’ospedale di Susa e ora incrocia le dita: «Nel frattempo mi tengo in forma facendo un po’ di tapis-roulant a casa, nella speranza che questa sia davvero la volta buona».

su Luna Nuova di martedì 21 aprile 2020

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