CORONAVIRUS
21 Aprile 2020 - 00:23
Chiara Merigo di Collegno
di EVA MONTI
Attività produttive, aziende e artigiani sono in sofferenza per via delle manovre restrittive resesi necessarie per prevenire e combattere il contagio da Covid-19. La pandemia ha colpito e continua a colpire non solo la salute delle persone, causando molte morti, ma anche l’economia del tessuto sociale locale. Non c’è bisogno di snocciolare dati e statistiche per capirlo.
Ognuno di noi ha almeno un conoscente che lamenta il rischio di non riaprire anche quando sarà ufficializzata la “Fase 2”, e ci sarà la ripresa del lavoro autorizzata ai più. Chiedono il previsto contributo per cercare di sopravvivere almeno fino al giorno del “via libera”, ma non è detto che ne abbiano diritto stando alle norme o, peggio, che per qualche cavillo non gli arrivi. Ognuno di noi conosce almeno una famiglia che dice di aver bisogno del “buono spesa”, ma che per qualche motivo (e sono tanti quelli per non rientrare nella categoria) non l’avrà.
Tra i primi c’è anche Chiara Merigo, di Collegno. La donna è titolare, assieme alla sorella Santa, di un negozio di acconciatura situato in piazza IV Novembre a Collegno. Come tutti gli altri negozi di parrucchiera, ha dovuto chiudere i battenti l’11 marzo scorso. Lei, single, si è trovata così senza l’entrata principale che le aveva permesso di tirare su due figli che ora hanno 21 e 18 anni. «Proprio per allevarli senza troppe rinunce, e visto il periodo di crisi - racconta - ero stata costretta a cercarmi un secondo lavoro part-time di 40 ore al mese. Un piccolo stipendio che mi serviva ad arrotondare e arrivare alla fine mese».
E siccome era stata messa in regola dai datori di lavoro, anch’essi artigiani, ha una sua seconda posizione presso l’Inps. Ed è proprio questo istituto, a cui lei si era rivolta per primo, a rispondere “niet” alla sua richiesta per il contributo che spetta agli artigiani che chiudono per via del Coronavirus. Due posizioni significa due attività e quindi due entrate delle quali sono una è venuta a mancare. «Ma è un’ingiustizia, perché io con il secondo lavoro non campo ed inoltre adesso sono in cassa integrazione per tutto il mese di aprile», ribatte lei. Alle sue proteste avrebbero risposto «Noi non facciamo le leggi, le applichiamo».
«Credo che sia una vera e propria ingiustizia circa i modi di destinare il “bonus artigiani” - commenta amareggiata - lo danno anche ad altri commercianti, anche se non hanno chiuso». Una questione che ha girato anche al presidente della Regione, Alberto Cirio, convinta che nel suo stato si trovino in molti. «Le vostre decisioni - ha scritto - vengono prese sulla pelle degli altri e penalizzate chi, come me, cerca di lavorare in modo onesto e regolare sotto tutti i punti di vista fiscali. Come soldatini abbiamo obbedito e sospeso l’attività a tutela del paese e per la salute di tutti, ma alla fine io sono stata molto penalizzata e lasciata sola». Non pensa che arrivi una risposta a lei favorevole. «Non otterrò nulla - conclude - ma almeno do sfogo alla mia rabbia e alla mia indignazione».
Tutt'altro caso, invece, quello della famiglia di Rivoli che non ha chiesto per tempo il “bonus famiglia” e ora si trova nell’emergenza. Il nucleo famigliare è composto da quattro persone. La madre casalinga, il padre operaio che era senza lavoro fino a gennaio, ha lavorato a febbraio in una piccola impresa che ha poi chiuso per attenersi alla restrizioni riguardo il Coronavirus, e non ha la possibilità di chiedere la cassa integrazione. Il figlio più grande lavora ancora ed è l’unica fonte di sostentamento. I due coniugi hanno saputo in ritardo che anche loro avrebbero potuto chiedere il piccolo sostegno accordato con il “bonus” che viene distribuito dal Comune e hanno fatto domanda. Purtroppo ben oltre il termine consentito dal bando stesso. «Ho comunque provato ad interpellare il sindaco, nella speranza che ci fosse qualche modo per rientrare nella categoria degli assistiti - afferma la madre - ma il sindaco mi ha risposto in modo chiaro che non c’era nessuna possibilità». Nella mail che il sindaco Andrea Tragaioli le ha inviato si legge infatti «Purtroppo le confermo che il termine per la presentazione della domanda per il buono spesa è scaduto». Il primo cittadino però non si limita a questo, ma suggerisce un’altra via per cercare un sostegno: «È stato attivato un numero telefonico per il soccorso alimentare alle famiglie in grave emergenza. Nella speranza di esserle d’aiuto le lascio il recapito: 011/ 9501401, e confidando in una ripresa per tutti». Purtroppo anche questa seconda via non è risolutiva per la famiglia in quanto ha un’Isee dei mesi precedenti alla pandemia che non consente erogazione alcuna.
su Luna Nuova di martedì 21 aprile 2020
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