COVID-19

Villarfocchiardo, il mese più lungo di Chiaberto: «Torno con rinnovato entusiasmo»

Il sindaco è stato dimesso giovedì scorso dall'ospedale di Susa dopo 27 giorni di cure

27 Aprile 2020 - 23:32

Il mese più lungo di Emilio Chiaberto: «Torno con rinnovato entusiasmo»

di CLAUDIO ROVERE

È tornato a casa con 15 chili in meno, una brutta esperienza per fortuna conclusasi bene da raccontare e una nuova consapevolezza sul senso della vita, privata e pubblica. Emilio Chiaberto, sindaco di Villarfocchiardo, dal tardo pomeriggio di giovedì è di nuovo fra le pareti domestiche, nella sua casa di via Suisse, dove vive con la moglie Gabriella e il figlio maggiore Samuele. Ufficialmente guarito dal Covid 19, per cui era stato ricoverato all’ospedale di Susa nella mattinata di sabato 28 marzo.

Sono stati 27 lunghi giorni quelli vissuti nel reparto Covid segusino, ricavato nell’ala nuova prima dedicata a chirurgia e ortopedia. Per lui, i familiari e tutti i villarfocchiardesi, che si sono trovati con i vertici comunali in ospedale o in quarantena, come è accaduto al vicesindaco Eugenio Di Gaetano. «Però devo dire che la macchina comunale non ne ha risentito e di questo devo dare atto, e ringraziare, tutti coloro, tra amministratori e dipendenti, che hanno dato più del cento per cento in questo periodo», afferma il primo cittadino. In realtà la tecnologia ha permesso che questa lontananza non fosse così infinita. «Per fortuna, dopo i primi giorni di spaesamento ed in cui, lo ammetto, ho pensato soltanto a me, sono riuscito a tenermi in costante contatto con amministratori e dipendenti, è stato un grande lavoro di squadra - osserva Chiaberto - non sono mai stato molto social, ma in questo frangente ho scoperto che il web, se usato con criterio, può diventare molto utile per le nostre vite, sia private che nella loro dimensione pubblica».

E il web è riuscito anche a dargli la carica giusta per farlo resistere in questa situazione di debolezza. «Ho ricevuto un’enormità di messaggi di solidarietà e di incoraggiamento - rivela - a cui si aggiungevano tutte le mattine quelli che mi girava via telefono mia moglie Gabriella; per fortuna la mia situazione clinica non era così grave come quella di altri ricoverati, ho ricevuto l’ossigeno soltanto per i primi giorni, poi con il mio miglioramento non è stato più necessario ed ho potuto fare a meno della mascherina». Ma in queste occasioni è facile farsi circondare comunque da brutti pensieri. «Beh, le preoccupazioni sono normali, soprattutto perchè non si conosce molto di questo virus - ammette - ma se devo essere sincero non sono mai stato sopraffatto dalla paura, il reparto è gestito da persone competenti e con grande umanità, che pur in questa situazione di emergenza fanno di tutto per non farti sentire solo di fronte alla malattia».
La solitudine, è vero, è uno degli effetti collaterali più tremendi di questo virus. «Sì, è brutto non poter avere contatti con i parenti, ma al di là dell’umanità con cui vieni trattato in reparto, con il telefono comunque si riesce a mantenere quel minimo di rapporto con la famiglia; tutte le mattine parlavo con mia moglie, ed ogni due-tre giorni facevamo il video collegamento familiare, che comprendeva anche mio figlio Gionata, partito per l’Erasmus in Germania, a Lipsia, pochi giorni prima della dichiarazione d’emergenza».

Per il resto la giornata trascorreva tra terapia, risposte ai sempre numerosi messaggi e il coordinamento da remoto della macchina comunale. «Ho riscoperto anche il piacere della lettura - aggiunge Chiaberto - prima tra i mille impegni non potevo più apprezzarlo». Ed anche, inutile dirlo, con momenti brutti. «Sì, in particolare quando è purtroppo mancato il mio compagno di stanza, un 88enne con cui abbiamo condiviso parecchie giornate; eravamo divisi da un separè e quando mi sono alzato per andare in bagno mi sono accorto che non respirava più, ho chiamato subito i medici, ma non c’è stato più niente da fare e nonostante le rassicurazioni del personale mi è rimasto un po’ di senso di colpa, se me ne fossi accorto prima avrei potuto salvarlo?». Il virus è spietato anche in questi suoi risvolti.

Però ha probabilmente aiutato tutti noi a fermarci un attimo a riflettere sul senso della nostra vita sempre più frettolosa e arida di sentimenti. «Spesso mi sono sorpreso anche io, come persona e come amministratore, a sentire ma in realtà non ascoltare le persone - ammette il primo cittadino - ho riflettuto molto su questo e sul senso della vita in generale, adesso cercherò di ascoltare di più». Ma un po’ il Comune non le manca? «Beh sì, anche se amministrare, soprattutto i piccoli paesi come Villar, è sempre più difficile e lo si deve fare con sempre meno fondi a disposizione; ripeto, l’ho lasciato in buone mani in questo mese, ma adesso mi è tornato quell’entusiasmo che si era un po’ sopito dopo 25 anni di amministrazione e lo sento anche un po’ come un dovere tornare il più presto possibile».

Ma usciremo da questa emergenza e, soprattutto, come ne usciremo? «Beh, sinceramente non ho una risposta in questo momento, non ci sono pareri concordi neppure nel mondo scientifico, figuriamoci se può saperlo il sindaco di un piccolo comune. L’unica cosa certa è che dovremo ancora andare incontro a sacrifici e che dovremo ripensare al più presto il nostro sistema sanitario: non possiamo pensare di affidarci sempre e soltanto alla buona volontà e alla capacità dei medici e del personale».

Su Luna Nuova di martedì 28 aprile 2020

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