LUTTO
04 Febbraio 2021 - 22:43
di MARCO GIAVELLI
Se n’è andata in dieci giorni Luciana Ledda: il Covid l’ha colpita mercoledì 20 gennaio, poi domenica 31 è arrivata dall’ospedale di Rivoli la telefonata che la sua famiglia, alla quale ha dedicato tutta la sua vita, non avrebbe mai voluto ricevere. Famiglia che, come lei, ha vissuto sulla propria pelle l’aggressività del virus: ben cinque contagiati tutti insieme, a catena uno dopo l’altro, nonostante le accortezze e le precauzioni del caso. Alcuni di loro sono ancora in isolamento domiciliare e non solo non hanno più potuto vederla dopo il ricovero, ma non hanno nemmeno potuto partecipare al funerale, celebrato nel pomeriggio di martedì 2 febbraio. Un ultimo abbraccio mandato dal balcone, con una stretta al cuore, mentre il feretro veniva accompagnato al cimitero dai tanti che le hanno voluto bene. Non ci stancheremo mai di dirlo: uno degli aspetti più struggenti della pandemia.
Luciana, 84 anni, stava mediamente bene: gli acciacchi dell’età, qualche debolezza, ma nessuna particolare patologia. Originaria di Villasimius, nella provincia del Sud Sardegna, è arrivata in Piemonte negli anni ’60: due figli, poi altri tre nati qui. Cinque figli avuti a soli 28 anni. Una bella “truppa” da crescere, ma nonostante questo non si era tirata indietro di fronte all’opportunità di cercarsi un lavoro in fabbrica: prima alla Robertson di Bruzolo, poi alla Viel di Chiusa San Michele. «L’aveva fatto principalmente per non farci mancare nulla - racconta commossa Teresina Floris, una delle figlie - ed è stato davvero così: non ci ha mai fatto mancare nulla, facendosi un bel mazzo e mettendo costantemente al centro la famiglia. Una mamma, una nonna, una bisnonna sempre presente per i suoi otto nipoti e tre pronipoti: si preoccupava per tutti, non facevi in tempo ad esprimere un desiderio che lei cercava di esaudirlo. È sempre stata un punto di riferimento per tanti, non soltanto per noi figli: essendo la più grande di cinque fratelli ha fatto da mamma anche un po’ a loro».
Nel 1989, raggiunta la pensione, Luciana e suo marito Pietro avevano deciso di tornare in pianta stabile a Villasimius, ma dal 2004 in avanti, dopo essere rimasta vedova, trascorreva l’estate al caldo di Villasimius per poi svernare a Sant’Antonino: un copione invertito rispetto alla consuetudine per le persone di una certa età. Tutto per trascorrere più tempo con i suoi figli. «Come si sia presa il virus non ce lo spieghiamo tuttora - prosegue Teresina - abbiamo sempre fatto tutti grande attenzione, tra mascherine e distanziamento, ma abbiamo avuto la prova che con le persone più anziane questo virus è una brutta bestia. E pensare che, a differenza nostra, mia mamma non ha nemmeno avuto la febbre: ha iniziato ad accusare un po’ di debolezza, non aveva fame, si è sentita male e abbiamo chiamato l’ambulanza. Poi, una volta arrivata all’ospedale di Rivoli, il tampone positivo e la diagnosi da polmonite. Non abbiamo più potuto vederla, ma devo dire che il personale sanitario è stato estremamente disponibile nel farcela sentire in videochiamata una o due volte al giorno».
I problemi respiratori si sono via via acuiti, costringendola alla terapia con l’ossigeno e per qualche giorno anche all’uso del casco. «Sapevamo dai medici che purtroppo il suo quadro clinico si era fatto critico. Venerdì ci siamo un po’ illusi: sembrava più in forma, era quasi lei che cercava di tirarci su, i giorni prima era più stanca e provata, poi la situazione è precipitata. Mancherà, lascia un vuoto grande: con il suo modo di fare sapeva entrare nel cuore di tutti e i tantissimi messaggi che abbiamo ricevuto in questi giorni, pieni d’affetto e di piacevoli ricordi legati a lei, ne sono la dimostrazione».
su Luna Nuova di venerdì 5 febbraio 2021
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