VIRUS
17 Giugno 2021 - 23:10
di MARCO GIAVELLI
Anche oggi che siamo in “zona bianca” e il peggio sembra essere passato (speriamo definitivamente), ci sono storie che servono a ricordarci quanto il Covid sappia essere aggressivo anche nei tanti che, fortunatamente, riescono a vincere la loro battaglia contro il virus. Una battaglia che a volte richiede tempo, molto tempo, per essere vinta. Quello di Filippo Bruzzese, 64 anni di Vaie, nella vita muratore, è il classico caso di “long Covid”: effetti indesiderati che si trascinano per mesi e mesi, anche dopo che la persona si è negativizzata. Per Filippo parliamo ormai di sette mesi: da un paio di settimane ha finalmente ripreso a lavorare, ma a regime ridotto. «Fatico ancora a respirare - confida - mi affatico subito, non riesco a stare un giorno intero in cantiere. I medici mi hanno detto che per venirne fuori ci va anche un anno, e a volte non è detto che basti». E stiamo parlando di un uomo di mezza età sano, non affetto da patologie pregresse.
La sua Odissea è cominciata lo scorso 12 novembre, nel pieno della seconda ondata: «Stavo benissimo: lavoravo, mangiavo, non avevo nulla. Ero a casa e all’improvviso, senza avere altri sintomi, ho iniziato a sentirmi mancare pesantemente il fiato. Abbiamo chiamato l’ambulanza e mi hanno subito misurato la saturazione del sangue: era a 82. Mi hanno immediatamente caricato e portato all’ospedale di Rivoli». Due settimane col casco nel reparto di medicina, poi la situazione precipita: «Mi sentivo mancare: ho fatto in tempo a suonare il campanello per chiamare gli infermieri. “Non respiro più”, ho detto loro, e mi sono accasciato a terra. Mi erano collassati i polmoni».
Era il 25 novembre e di punto in bianco, senza avere ricordi, Filippo si è ritrovato intubato nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Casale, evidentemente per assenza di posti letto disponibili a Rivoli e dintorni. Una permanenza, quella nel Monferrato, che è andata ben oltre quanto potesse immaginare: praticamente tre mesi, fino a fine febbraio. Una settimana in terapia intensiva, poi il ritorno nel reparto ordinario: «Ho pochi ricordi, se non che vedevo continuamente passare barelle e morti nei corridoi: un vero disastro».
Le dimissioni da Casale arrivano il 20 febbraio, con tampone negativo. Filippo può finalmente riabbracciare i suoi cari, ma il ritorno a casa dura lo spazio di un mese: il 17 marzo qualcosa di nuovo non va. «Prendevo ancora il cortisone: mi sentivo gonfio, avevo il pancione e il collo ingrossato, faticavo di nuovo a respirare. Siamo andati alla guardia medica ad Avigliana e anche loro si sono spaventati: mi hanno consigliato di andare di corsa al pronto soccorso del San Luigi di Orbassano. Il tampone era negativo: ci sono rimasto una notte, il giorno dopo mi hanno spostato in reparto dove sono stato ricoverato per altri 12 giorni con la terapia dell’ossigeno».
È questo il “long Covid”: uno stato di malessere diffuso che si può protrarre anche quando una persona è ormai negativa al virus. «Il mio problema è che ancora oggi continuo ad avere la saturazione bassina, oscilla tra 93 e 94. Ora non prendo più farmaci, il cortisone me l’hanno sospeso un mese fa: ho ripreso a lavorare, sì, ma molto gradualmente perché mi basta un niente per affaticarmi. Una giornata intera non sono in grado di reggerla. Non ho nemmeno idea di dove possa essermi infettato: a novembre lavoravo in un cantiere ad Orbassano e nessuno, che mi risulti, era positivo. Ho sempre usato la mascherina, il distanziamento e tutte le cautele, eppure il virus mi ha colpito e me lo porto ancora dietro: fortuna che almeno sono riuscito a non contagiare nessuno in famiglia».
su Luna Nuova di venerdì 18 giugno 2021
APPROFONDIMENTI
Inserisci un commento
Condividi le tue opinioni su Luna Nuova