EMERGENZA
16 Marzo 2020 - 16:43
Clicca sulle foto per scorrere la gallery
Sembra di trovarsi al classico sportello di un ufficio postale, alla biglietteria di una stazione ferroviaria oppure, per non sconfinare troppo, all’accettazione di un poliambulatorio per il ritiro di un referto. Barriera di protezione alta e continua che corre lungo tutto il bancone, in basso un’unica fessura per scambiarsi ricette e denaro. Le farmacie ai tempi del Coronavirus si presentano così. Chi più, chi meno, ognuna a suo modo ha adottato i necessari dispositivi di protezione a tutela del pubblico e di dottori e operatori che instancabilmente lavorano dietro al bancone, garantendo uno dei quei servizi fondamentali non oggetto, infatti, delle chiusure previste dall’ultimo decreto del presidente del Consiglio Conte.
Era venerdì 6 marzo, a “zona rossa” ancora di là da venire, quando le Farmacie Tosello di Sant’Antonino (via Torino 147) e Sant’Ambrogio (via Umberto I 2) hanno deciso di non limitarsi alla regola sanitaria del metro di distanza e di installare una sorta di riquadro protettivo mobile plastificato dinanzi a ciascuna postazione, per rendere più marcata la separazione degli spazi tra farmacista e cliente e ridurre le possibilità di contatto. «Poi da martedì, con l’estensione della “zona rossa” a tutta Italia - spiega il dottor Amelio Tosello - abbiamo deciso di passare ad una separazione ancora più fisica e netta, prevedendo una vera e propria struttura autoprodotta che abbraccia tutto il bancone». A realizzarla manualmente ci ha pensato suo figlio Gianmario, in modo tanto artigianale quanto efficace: Tosello junior ha acquistato dei listelli 2x2 di abete, li ha avvitati su una base di compensato, quindi ha disteso un rotolo trasparente di pvc da 35 mm lungo tutta la struttura. Con tanto di tipico scotch marrone da imballaggio che all’occorrenza funge da cerniera tra le varie parti, regalando al tutto un tocco di poesia.
«Io sono uno “maniacale” sugli aspetti di igiene anche in “tempi di pace”, figuriamoci in “tempi di guerra” - sdrammatizza Tosello senior - abbiamo quindi ritenuto opportuno innalzare ulteriormente le misure di prevenzione per evitare ogni rischio di contagio reciproco tra noi e il pubblico. So che anche altri colleghi hanno previsto sistemi simili, ormai ci sono ditte specializzate e falegnameria che stanno fornendo queste strutture: noi abbiamo scelto il “fai da te”, anche per accelerare i tempi». Non solo: i farmacisti dietro al bancone sono equipaggiati stile astronauta con apposite tute bianche contro il rischio biologico, oltre che dotati di mascherine sul volto. «Sperando sempre di riuscire a leggere giusto, perché l’effetto appannamento sugli occhiali è garantito - ci scherza su - partendo dal doveroso ringraziamento a medici e infermieri al lavoro negli ospedali, noi farmacie e i medici di base rappresentiamo il primo contatto diretto con le persone, il presidio più comodo e più a portata di mano: per qualsiasi tipo di dubbio, siamo noi coloro a cui la gente si rivolge».
Com’è cambiato il vostro quotidiano nel giro di poche settimane e quale aspetto, se ce n’è uno, le manca del suo lavoro in regime ordinario?
«Ad esempio igienizziamo il bancone ogni ora, mentre di norma lo fai un paio di volte al giorno. Sicuramente mi rammarica molto il dover evitare il contatto diretto con le persone. Faccio qualche esempio: un signore voleva acquistare una cavigliera, ma non ho potuto toccarlo per individuare il prodotto più indicato, come si fa di solito. Poi in qualche modo ti aggiusti e fai, però devi rivedere il tuo modo di lavorare. Allo stesso modo non possiamo più fare le misurazioni della pressione o della glicemia: siamo forzatamente “azzoppati”. Parallelamente, fin dalla scorsa settimana, abbiamo dato la disponibilità al Comune per la consegna dei farmaci a domicilio».
Come percepisce lo stato d’animo delle persone che si rivolgono alla farmacia?
«Attente e con la giusta dose di consapevolezza su quanto sta succedendo. Ma soprattutto molto pazienti e ordinate, nonostante l’afflusso sia più abbondante del solito, con oltre 200 persone al giorno. Questo è uno degli aspetti che più mi ha stupito in positivo: nessuno si accalca, tutti rispettano scrupolosamente le distanze, aspettando il proprio turno sulle strisce collocate sul pavimento all’interno del locale. Solo una volta ho dovuto chiedere a una persona di attendere sulle strisce. Questo ci agevola non poco il lavoro. Anche il meteo ci sta dando una mano: piovesse sarebbe un pasticcio».
Quali le richieste più frequenti?
«Le mascherine: il problema è che si fa una gran fatica a reperirle. La scorsa settimana siamo riusciti ad averne mille, le abbiamo divise a metà tra le due farmacie e in un giorno e mezzo le abbiamo fatte fuori tutte. E poi il gel igienizzante per le mani, anche questo ormai introvabile, così da lunedì scorso ci siamo messi a produrlo noi: prima non lo facevamo perché non c’era richiesta, ora che c’è è stato un buon motivo per iniziare. Anzi, questo ci ha permesso di riscoprirci “preparatori”, tornando agli albori della nostra professione e ritrovando quella manualità che è propria del mestiere di farmacista. Tutte le avversità portano con sé delle opportunità da cogliere, fermo restando che avrei preferito questa opportunità non arrivasse in questa maniera».
Ci dica la sua sulle mascherine: servono soltanto se una persona è potenzialmente infettiva, come si sente spesso dire in televisione, oppure è meglio indossarla a prescindere?
«Io seguo una teoria che può apparire lapalissiana, ma per me efficace: poco è comunque meglio di niente, quindi tanto vale averla. Del resto, quando vedo i soccorritori in giro ce l’hanno tutti, e allora non vedo perché non dovrebbe portarla il comune cittadino. Ormai non è più questione di creare degli allarmismi inutili nel vedere la mascherina: la situazione è seria».
Condivide le misure drastiche adottate dal governo?
«Penso stia facendo abbastanza bene ciò che andava fatto. Non vorrei essere al suo posto, perché ti trovi costretto a bloccare l’economia per una necessità di salute che però, giustamente, ha la priorità. Queste misure di desocializzazione possono portare dei risultati, bisogna vedere in quali tempi: la mia impressione è di questo passo che il picco possa arrivare a fine marzo, quando la curva epidemiologica potrebbe iniziare a scendere».
Cosa ci deve insegnare quest’esperienza?
«Deve darci una consapevolezza ben precisa: il concetto non è il “se arriva” un’epidemia, ma “quando arriva” come ci comportiamo, al di là del fatto che possa essere più leggera, come avvenuto in passato, o più pesante, com’è successo ora. Di sicuro non eravamo preparati a vivere quello che stiamo vivendo».
Qualche consiglio pratico?
«Vedo ancora troppe persone in giro “al cazzeggio”, anche se forse negli ultimi giorni la situazione è migliorata: capisco che disabituarsi dall’oggi al domani sia difficile, ma bisogna mettersi in testa di non uscire di casa se non per motivi più che validi. Io abito ad Almese e sono abituato a sentire dall’alto i rumori della valle di Susa: in queste sere non si sente nulla, un silenzio assordante. Sembra di essere tornati ai tempi delle domeniche senz’auto. Così dev’essere il più possibile, anche di giorno. Consiglio poi di utilizzare i guanti, ad esempio quando si esce per andare a fare la spesa: una precauzione in più, visto che non possiamo fare a meno di toccare tante cose che tutti possono aver toccato».
Come ne usciremo, secondo lei?
«Questa vicenda ci farà sentire tutti un po’ meno forti, perché ci sta facendo toccare con mano la fragilità del nostro sistema. Qualsiasi cosa lo può mandare in palla, basta un “nulla” come un virus».
Marco Giavelli
su Luna Nuova di venerdì 20 marzo 2020
APPROFONDIMENTI
Inserisci un commento
Condividi le tue opinioni su Luna Nuova