25 APRILE

Avigliana, la quarantena esalta il significato della Liberazione

Le restrizioni fanno capire ai giovani cosa si prova in guerra

30 Aprile 2020 - 00:34

Avigliana, la quarantena esalta il significato della Liberazione

di DANIELE FENOGLIO

Sabato scorso anche la città dei laghi ha celebrato la Festa della Liberazione dal nazi-fascismo. Una celebrazione in forma virtuale in ossequio alle disposizioni per l’emergenza sanitaria. La città ha aderito alle iniziative “Dalla paura, alla speranza, alla rinascita” organizzata a livello di Comuni dell’Unione Montana, con la classica deposizione della corona di fiori al monumento ai caduti e al sacrario del cimitero a cura del sindaco Andrea Archinà, con lui Daniela Molinero, presidente Anpi Avigliana, che ha letto brani a tema con la giornata, in diretta streaming su Facebook. L’ensemble femminile Le Voci dei Mareschi diretto da Lorella Perugia ha eseguito vari brani mentre l’inno d’Italia è stato diffuso grazie ad una registrazione curata dalla Filarmonica S.Cecilia. A tutto ciò si sono affiancate varie iniziative sui social.

Il discorso del sindaco Andrea Archinà

«Avrei voluto quest’oggi parlare a braccio, ma come ben sapete, ogni parola è portatrice di un suo significato ben preciso. In un momento così delicato della nostra storia e come meglio sottolineato da quanto sto per dirvi, leggere mi aiuterà ad rimanere il più possibile aderente a quanto ho pensato di trasmettervi in questa giornata così importante. Dunque Rivolgo il mio saluto e quello dell’amministrazione comunale alle autorità civili e militari, alla rappresentante dell’Anpi cittadino, delle associazioni d’arma, e a tutte le associazioni e a tutte le cittadine e i cittadini aviglianesi che in questo momento sono costretti dietro allo schermo di un pc o di uno smartphone, ma certamente sono qui presenti con il cuore in particolar modo agli studenti di tutte le scuole che riempiono ogni anno questa piazza oggi insolitamente cosi silenziosa. Niente cerimonie, o cortei, Quest’anno, il 25 aprile, festa della liberazione dal nazifascismo, non può essere celebrato in modo tradizionale, a causa del Covid-19. Ma che non per questo può rimanere sotto silenzio rappresentando infatti il momento della nascita del nostro Stato libero e democratico.

Anche se in modo solo virtuale, date le circostanze che ci costringono a casa, possiamo dunque riunirci lo stesso per ricordare. E anzi serve farlo con maggior vigore proprio in un tempo difficile e complicato, in cui siamo alle prese con la pandemia certo, con l’obbligo di rimanere segregati in casa, ma anche con le pratiche razziste, con le spinte sovraniste in ogni parte del mondo, un momento in cui dunque parole come Liberazione e Rinascita ci potrebbero apparire se non vuote quantomeno lontane. Eppure, forse, mai come stavolta la celebrazione della libertà ritrovata nella lotta antifascista è piena di significati percepibili immediatamente da tutti, ora che il quotidiano è traumatizzato da tante restrizioni. Siamo costretti, infatti, ad un isolamento sociale che non avevamo mai sperimentato prima in maniera così totalizzante ed esclusiva. C’è un nemico che ci obbliga a stare in casa, e noi obbediamo agli ordini impartiti, lo facciamo per paura, per la nostra salvezza, un po’ anche per il bene di tutti. Ma soffriamo dell’assenza di libertà che si manifesta nelle piccole cose, uscire di casa a nostro piacimento, magari senza meta o scopo, per il piacere di farlo. Senza rendere conto a nessuno delle nostre azioni, o dover portare con noi l’ormai famosa autocertificazione.

Non era più accaduto dalla caduta del fascismo che i movimenti fossero così limitati. Accade certo per motivi diversi. Erano allora i rastrellamenti, i bombardamenti, il timore di rimanere uccisi dal nemico o da un cecchino. Chi mi ha seguito proprio su FB in questo periodo ricorderà che qualche settimana fa il 31 marzo scorso mi trovavo da solo di fronte a questo stesso monumento invitato dall’Anci (Associazione nazionale Comuni Italiani) a ricordare le vittime dell’epidemia e onorare gli operatori sanitari impegnati in prima linea nell’emergenza. Mi ritrovai a riflettere così su come la solitudine provata in quel momento mi spingesse ad esercitare l’empatia come sentimento che più di altri mi aiutasse, in qualità di amministratore pubblico, ad entrare in risonanza con tutti coloro che sono stati costretti da soli ad affrontare la paura e gli effetti più dolorosi di questa pandemia. E che alcuni giorni dopo, in occasione della Pasqua cristiana, lo studio di uno psicologo impegnato in corsia nell’osservare il sostegno reciproco che si danno i malati di Covid per superare la malattia, mi portasse a ritenere che la Compassione intesa nel suo significato originale del soffrire insieme potesse condurci verso un'unità ben più profonda e pura di ogni altro sentimento che leghi gli umani, e che probabilmente è proprio di una vera unità quella di cui l’Umanità ha bisogno per superare un momento così delicato.

Ma la cosa che più mi pare straordinaria e in cui trovo personale conforto è che a seguito della condivisione di quella riflessione mi venne fatto notare che proprio Patior la radice latina da cui deriva il termine compassione ha anche il significato di resistenza, combinazione, quella che proprio in questa giornata siamo chiamati a celebrare insieme alla liberazione. La resistenza come spinta a mettere insieme le energie per contrastare qualcosa o a qualcuno. Il sentimento incarnato da coloro che si opponevano con ogni mezzo, anche a costo della vita, al regime fascista che non solo aveva trascinato l’Italia in guerra, ma che aveva progressivamente snaturato quella forma democratica, che per quanto ancora imperfetta, era già stata a fatica conquistata con l’impegno e il sacrificio di molti. A pensarci meglio, sebbene la storia non si ripeta mai allo stesso modo, essa ci offre spesso spunti simili sui quali riflettere cosicché oggi il resistere assume sfumature e accezioni differenti.

Resistere alla paura di contrarre il virus o di vedere i nostri cari strappati alla vita senza neppure poterli salutare un’ultima volta, resistere a turni massacranti in una corsia di ospedale ormai allo stremo, resistere alla tentazione di violare le restrizioni per vedere la persona amata o ancora resistere dietro la saracinesca abbassata di un negozio chiuso con l’ansia di perdite economiche insostenibili. Ognuno di noi in questo periodo sarà stato colpito dalla propria personale tendenza a resistere e ognuno l’avrà certamente esercitata al meglio delle proprie possibilità. È una prova forte è una prova dalla quale speriamo verremo alleggeriti quanto prima, ma di cui difficilmente ci libereremo completamente nel breve termine.

Ma volendo lasciare da parte per un attimo quella razionalità scientifica a cui dobbiamo affidarci in questi momenti non potremmo forse dire che nulla avviene per caso e che dunque questo estremo difficile passaggio avrebbe qualcosa da insegnarci? Se come ormai 75 anni fa ci trovassimo in una congiuntura storica nella quale solo un profondo shock possa risvegliarci da un torpore che per troppo tempo ci ha assuefatti? Se proprio nel momento in cui stanno venendo a mancare le ultime voci della resistenza partigiana una nuova generazione fosse stata richiamata da un virus a riflettere su quei valori fondanti della nostra carta costituzionale come il diritto alla salute, alla liberta di movimento, ad un’informazione corretta e trasparente. Se fosse stata obbligata a mettere a frutto tutto i proprio ingegno per trovare ad esempio soluzioni alla lotta all’inquinamento globale garantendo la salvezza del Pianeta e in conseguenza anche quella del genere umano.

Allora forse tutto questo potrebbe assumere il significato di un avvertimento per cambiare passo domani quando ripartiremo, caso mai avessimo sbagliato la rotta, meglio gettare via l’irrilevante, le imprese e i progetti mal concepiti o dannosi, e occuparci seriamente delle cose necessarie, la scuola, il lavoro, la giustizia, la sanità, la cultura che avevamo lasciato a metà, quando tutto è scoppiato. Sarebbe ingenuo pensare che questo non sia ottenuto a caro prezzo: le migliaia di morti, il rischio di una recessione economica, di nuove sacche di povertà, le stesse che proprio i nostri nonni si ritrovarono ad affrontare una volta finita la guerra.

Ma se c’è una cosa che era loro da sprone nonostante tutto era il sapore di quella ritrovata libertà che oggi non può che andare di pari passo con l’uguaglianza. Un bisogno enorme di uguaglianza è emerso chiaramente. È sotto i nostri occhi. Perché si può vivere questo isolamento in maniera indolore, oppure in maniera infernale. La differenza non la fa solo la psicologia. La fa la condizione sociale. Se ho una villa con giardino in fondo me la cavo, ma se sto con l’intera famiglia in un piccolo appartamento della periferia urbana, allora rischio di soffrire e tanto. Come ha saggiamente osservato recentemente la filosofa Roberta De Monticelli “La storia sembra insegnarci che ogni grande crisi suscita nell’umanità imprevisti risvegli. Il regno dei fini però non nasce a comando, schematicamente, in maniera automatica. Nelle stagioni felici dell’uomo, accade che la stella della vocazione si accenda in molte persone contemporaneamente. Così una stella, più un’altra stella, più un’altra ancora, e ancora un’altra, possono formare una grandiosa costellazione. Di cui ciascuno non vede che la propria piccola luce. Ma che, tutte insieme, illuminano la strada che porta l’umanità altrove”.

Dunque, a partire da questo prezioso spunto, auguro a ciascuno di Noi di brillare come una stella partigiana nel senso letterale del termine cioè di chi prende parte a quello che potrà rivelarsi, lo spero, un epocale cambiamento. Di chi attraverso, empatia e compassione celebra e realizza una moderna resistenza per rifondare una Terra in cui l’uguaglianza e la fratellanza non siano valori astratti ma si radichino nel nostro quotidiano e intreccino una nuova consapevolezza. E allora forse col passare del tempo, con gli sforzi di tutti, guarderemo a questo periodo cosi difficile come a quella goccia che fece traboccare il vaso e ci inondò di speranza verso il futuro. Dunque Viva la costituzione, viva la Repubblica e buona resistenza a tutti Voi!

Vorrei ringraziare tutti coloro che in questo momento si stanno prodigando per superare questo momento: l’amministrazione comunale tutta, perché non è questo il momento in generale in cui essere divisi, la macchina comunale in particolare la polizia locale e in generale le forze dell’ordine costantemente in prima linea, i volontari e le associazioni impegnati in modi diversi nel supportare chi ha più bisogno anche per mantenere quel senso di socialità e condivisione fondamentale, la Società Filarmonica Santa Cecilia. Ensemble Femminile Le Voci dei Mareschi, Appuntamento alle 15 affacciati da finestre e balconi per intonare questo inno partigiano ormai internazionale. Buon 25 aprile a tutti».

Su Luna Nuova di giovedì 30 aprile 2020

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