COVID-19
23 Novembre 2020 - 22:17
di CLAUDIO ROVERE
«Sono stato fortunato, ho trovato professionalità e non ho dovuto ricorrere al casco, ma è stata un’esperienza difficile, da non augurare a nessuno». Remigio Eydallin, 70 anni, di Oulx, è tornato a casa da una settimana, martedì scorso. La sua vita è ancora scandita dalla bombola dell’ossigeno, certo, ma la fase acuta del Covid se l’è messa definitivamente alle spalle.
Eydallin e la moglie Antonietta con tutta probabilità sono stati contagiati a Roma, nel corso del loro soggiorno nella città eterna a casa della figlia, che lì abita. «Nostra figlia aveva accusato qualche sintomo leggero - ricorda Eydallin - così abbiamo subito deciso di tornare al Gad per isolarci, prima che chiudessero le Regioni, ma è stato tutto inutile, probabilmente ci eravamo già contagiati».
Ma se Antonietta ha a sua volta accusato sintomi lievi, per Remigio il decorso della malattia non è stato altrettanto agevole, Tutt’altro. «Dopo il tampone a cui mi sono sottoposto al San Luigi, sono stato in ospedale a Susa, trasportato dal 118, una prima volta, ma ho insistito per venire a casa, devo dire facendo una grande cavolata - ammette il pensionato di Oulx - poi ci sono tornato due giorni dopo, con la febbre ad oltre 39». E la diagnosi implacabile dei raggi x: polmonite interstiziale bilaterale. «Prendo il coumadin perchè ho una protesi all’aorta e sono arrivato in ospedale completamente scoagulato». Non è però uno dei casi peggiori, tanto che gli viene risparmiato il casco, ma l’ossigeno che gli serve per farlo respirare meglio gli viene assicurato soltanto con la mascherina.
Per fortuna il decorso è positivo e dopo otto giorni di ricovero può finalmente tornare a casa, al Gad. «Devo dire un grande grazie a tutti gli operatori sanitari del reparto Covid di Susa - tiene a precisare Eydallin - lavorano in condizioni estreme e sempre sotto pressione, e nonostante questo riescono a trasmettere molta umanità in quelli che come me vengono a trovarsi in questa situazione, soli, quasi senza contatti con l’esterno».
Una brutta esperienza, anche se finita bene. «Sì, il momento più terribile è stato quando purtroppo è spirato il mio vicino di letto - osserva Eydallin - ma anche quando ad un altro paziente il responsabile del reparto gli si è seduto accanto prima di fargli indossare il casco e gli ha detto “stai per iniziare la settimana più difficile della tua vita”». Ora però Remigio Eydallin sta cercando, lentamente, a lasciarsi tutto questo alle spalle. Il morale è già alto e la battuta pronta. «Ho una moglie infermiera, cosa voglio di più dalla vita?».
Su Luna Nuova di martedì 24 novembre 2020
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